"IL VINO E I GELSOMINI"
Camilla Moro presenta il romanzo "Il vino e i gelsomini" di Maria Sandias - ed. Manni.
Sabato 24 marzo 2002 ore 18
BREVE COMMENTO CRITICO di Camilla Moro al libro
"IL VINO E I GELSOMINI" di Maria Sandias
Presentazione del libro 24/03/2007
E’ un LIBRO SENSUALE, un libro che dalle prime righe dipinge un arcobaleno di COLORI caldi che si versano uno nell’altro. Colori che si confondono e stimolano emozioni, in questo caso paura e senso di sicurezza, terrore e languore insieme.
Colori che cominciano un RACCONTO DELLA MEMORIA intesa come memoria dello scrittore, quella di cui parla così bene Lalla Romano ne ‘L’Eterno presente’, dichiarazione di poetica più avvincente di tanti romanzi.
Lo scrittore, dice L. Romano, vive in un eterno presente, un tempo affettivo, che non ha niente a che vedere con il tempo reale.
La sua memoria non è ricordo di avvenimenti e nozioni, ma eterno presente di emozioni e sentimenti.
Il PADRE, personaggio principale del libro della Sandias, quello intorno al cui ricordo il romanzo è costruito, ci appare dunque da subito avvolto nel colore, in quel colore che , come una madeleine, riporta l’autrice ad una casa, quella paterna, e ad un tempo, quello della guerra, che sembra avere molto contato nella sua formazione di donna e di scrittrice.
I COLORI sono quelli della splendida natura siciliana, ma anche quelli dell’ARREDAMENTO della casa del padre, un esteta, che amava scegliere personalmente le tonalità degli arredi ma anche lo stile dell’abbigliamento ricercato proprio e della moglie.
C’è un’IMMAGINE in cui i colori dell’isola si fondono con quelli del padre, un’immagine che sembra riassumere il libro nella sua pittoricità e teatralità, ma, anche, un’immagine in cui la casa, con tutto quello che ha rappresentato per la famiglia della scrittrice, si mostra nella sua solidità reale e simbolica.
Un’ immagine che è, anche, la Sicilia. “Nei giorni di scirocco papà era bianco nel biancore della luce, nel biancore del suo completo di lino; camminava nella striscia d’ombra esigua che i palazzi proiettavano. Camminava veloce, verso la sua casa che aveva mura antiche e spesse e resisteva per giorni all’afa insopportabile del vento che arrivava dall’Africa.” In questo biancore che riassume i colori del padre, i colori dell’arcobaleno della scena iniziale, c’è, a mio parere, tutto il libro.
Come se il VORTICE DELL'INCIPIT si fosse miscelato in questo BIANCO, che è tutti i colori insieme ma anche tutti i profumi e i sapori e gli odori di una casa, di altre case ,e della Cuba, la tenuta di campagna dal nome esotico e misterioso. “La notte aveva la voce degli eucalipti alla Cuba...”Eucalipti come giganti nel buio. La Cuba e il suo cielo vasto,” che non si appoggiava alle strade e alle case”, ma spaziava oltre le colline, azzurro e grande come il mare, aldilà.
LA CUBA E' IL MITO, è l’essenza stessa della campagna, è il nido in cui rifugiarsi ma anche la vastità sconosciuta di quel mare che c’è ma non si vede. Il mare lo si può vedere da Porta Trapani, ad Alcamo.
E quando sull’azzurro le nuvole sono sfilacciate e pesanti, vuol dire che, l’indomani, arriverà lo Scirocco.
La NATURA diventa, allora, una forza a cui arrendersi, un” non tempo” in cui aspettare rassegnati che il senso di malessere passi. Addirittura, una forza da temere, con i suoi temporali improvvisi e violenti da ascoltare con terrore, pregando, insieme alla nonna.
Ai colori i PROFUMI si mescolano in un unico vortice di sensualità. Profumi della natura, le zagare, i gelsomini, ma anche odori della cucina e della cure alla casa . Gli odori delle pulizie, del pane cotto nel forno casalingo , dei dolci, di tutti i rituali di cui è fatta la vita nella casa paterna.
Tornano e se ne vanno, colori, odori e profumi, in un RACCONTO ONDIVAGO, come ondivaga è la memoria.
I rituali , le abitudini, le donne laboriose della casa. Le scene di vita, recitate come SCENE DI TEATRO. La sarta, la modista Nuzzo, i ricevimenti della mamma, le maestre Mannina, la signora Sarina e il povero Ernesto, il padre delle Sigmorine Mannina.
Ma anche SCENE DI VITA COLTE NELL'ATTIMO in cui accadono, illuminate alla Vermeer. La mamma che pettina la figlia bambina, la mamma che si veste davanti allo specchio, il ricamo, i rituali della preparazione del cibo.. Sostare nei piccoli gesti quotidiani dà sollievo, vivere l'attimo è un buon modo, ai nostri giorni poco frequentato, per vivere sani. Vivere l'attimo è una dote femminile che possiamo ritrovare in donne e uomini.
Nel libro della Sandias non c’è una STORIA, se per storia intendiamo vicende con un inizio ed una fine. C’è la vita di una casa e di una famiglia e delle relazioni che legano quella famiglia alla città in cui vive, raccontata seguendo il ritmo della memoria. Ma soprattutto c’è la storia del SOGNO DI UN UOMO che con coraggio e un poco di incoscienza prova a inseguire, e forse a precedere, il cambiamento di un' epoca.
E non importa se abbia avuto successo o no, ciò che conta è il suo insegnamento ai figli: la DIMENSIONE DEL SOGNO, che deve essere grande, perché ci si possa muovere nel piccolo quotidiano. Il sogno che hai nella testa, è lui che dà il ritmo e il senso ai tuoi passi nella vita. Nelle strade della piccola città,è lui che ti spinge a cercare tra i palazzi il cielo, il riflesso di te.
E se la casa è il riflesso della personalità di chi la abita, la CASA del padre della Sandias “era bellissima, armoniosa e ridente come una canzone.” Una casa e un padre, dunque, che insegnano a vivere, a sognare, a LEGGERE e a SCRIVERE.
La lettura è una vita alternativa,una barca tutta propria che si può dirigere dove si vuole, un’occasione di percorsi nuovi e segreti, di viaggi misteriosi e affascinanti. Il padre suggerisce i libri, la futura scrittrice li legge avidamente. “Eravamo , papà ed io, come viaggiatori di uguali strade e uguali paesi e trovavamo conforto al segno ereditario della malinconia, comunicando, aldilà delle parole, in un silenzio quieto e caldo.” “Non ho mai conosciuto niente di così sconfinato come il libro. Neppure il cielo. Neppure il mare.
“La SCUOLA è il luogo delle parole, il luogo dove si cercano le parole giuste per raccontare la vita, rischiando, per volerla raccontare, di non viverla mai completamente, intensamente. Le parole , che tanto ama, creano una specie di velo tra l’autrice e ciò che accade. Una voce, nei momenti emotivi più intensi, parla già il ritmo della narrazione.
Ma la SCRITTURA è, anche, CONFORTO per il dolore di ogni perdita. Conclude, Maria Sandias: “Non mi leverete mai quello che è veramente mio perché ce l’ho nella testa.
Il libro, costruito sul ricordo e l'idealizzazione di un uomo, il padre, pare , in ultima analisi, scritto sotto l'influenza di ISIDE, l'unica vera potenza del femminile, la Dea tra le Dee.
E il femminile è la forza capace di trasmutare il mondo, di portarlo a destinazione, di condurre finalmente, ciascuno di noi, verso la sua dimora.