di Riccardo Prando (da La Prealpina del 11 ottobre 2005)
Tommaso Rubertà, “maresciallo capo della stazione di Verbania”, forse non riuscirà a raggiungere gli indici di popolarità del maresciallo Rocca, ma “è un bell’uomo sulla quarantina, prestante, gli occhi grigioverdi accesi nel volto scolpito” e ha una dote invidiabile per un dirigente delle Forze dell’Ordine, sta ai fatti e lo conferma parlando al carabiniere Colavolpe, davanti al cadavere appena scoperto di una donna: “Piano Santino. Piano con i romanzi. Qui non siamo al paese tuo! Niente sceneggiate”. Però un punto debole l’ha: subisce il fascino di una donna, forse una tigre addirittura…
Camilla Moro, gallaratese che con “Una tigre in giardino” (edizioni romane Il Filo) è al suo terzo romanzo, scritto con pennellate rapide e precise, come di chi ha saputo fare tesoro delle esperienze narrative precedenti.
Dialoghi concisi e descrizioni mai troppo abbondanti, che pesca con abbondanza dalla propria poliedrica personalità. Dapprima giornalista, quindi psicoterapeuta, ora responsabile di una guest-house sulle colline piemontesi del Verbano, è soprannominata “Pirandello” da una persona che la conosce bene, il marito, e che evidentemente ne vuole sottolineare i tratti polivalenti, diciamo così alla “uno, nessuno e centomila”.
Esagerazioni? “Nel mio romanzo c’è una continua ricerca psicologica, lo studio della psiche femminile e degli atteggiamenti ora aggressivi, ora rinunciatari degli uomini, che in generale non escono bene dalle mie pagine.
Racconto la vita di una donna, specchio di tutte le donne che hanno a che fare con la superficialità maschile, sia quando ha le vesti del marito sia quando ha quelle del padre. Ho preso spunti dalla mia vita professionale? Credo proprio di sì“ conferma la scrittrice.
In “Il filo”, 1995, la traccia erano dialoghi telefonici tra madre e figlia, nel “Rito d’iniziazione”, 1998, la vicenda psicologica coinvolge due amanti; in “Una tigre in giardino” il file rouge è costituito da Laura, dal suo dattiloscritto intrigante finito nelle mani del maresciallo che ne è preso fin nel profondo di sé, dalle tante Laura di cui è composta e nella quale si avvolge, si nasconde, dialoga e scappa dal mondo, in perenne conflitto con un marito che ama nonostante la faccia soffrire.
“Laura era il mistero, l’ambiguità, il dubbio, la malinconia”.
Un omicidio forse involontario, forse no, in una villa dalle parti di Stresa ha posto fine ai suoi tragici giorni, ma in fondo non è stato l’amante segreto, pur reo confesso nelle mani di Rubertà, il suo vero assassino…
(Una tigre in giardino, Camilla Moro, Edizioni Il Filo, Euro 12.00, 2005)
Tommaso Rubertà, “maresciallo capo della stazione di Verbania”, forse non riuscirà a raggiungere gli indici di popolarità del maresciallo Rocca, ma “è un bell’uomo sulla quarantina, prestante, gli occhi grigioverdi accesi nel volto scolpito” e ha una dote invidiabile per un dirigente delle Forze dell’Ordine, sta ai fatti e lo conferma parlando al carabiniere Colavolpe, davanti al cadavere appena scoperto di una donna: “Piano Santino. Piano con i romanzi. Qui non siamo al paese tuo! Niente sceneggiate”. Però un punto debole l’ha: subisce il fascino di una donna, forse una tigre addirittura…
Camilla Moro, gallaratese che con “Una tigre in giardino” (edizioni romane Il Filo) è al suo terzo romanzo, scritto con pennellate rapide e precise, come di chi ha saputo fare tesoro delle esperienze narrative precedenti.
Dialoghi concisi e descrizioni mai troppo abbondanti, che pesca con abbondanza dalla propria poliedrica personalità. Dapprima giornalista, quindi psicoterapeuta, ora responsabile di una guest-house sulle colline piemontesi del Verbano, è soprannominata “Pirandello” da una persona che la conosce bene, il marito, e che evidentemente ne vuole sottolineare i tratti polivalenti, diciamo così alla “uno, nessuno e centomila”.
Esagerazioni? “Nel mio romanzo c’è una continua ricerca psicologica, lo studio della psiche femminile e degli atteggiamenti ora aggressivi, ora rinunciatari degli uomini, che in generale non escono bene dalle mie pagine.
Racconto la vita di una donna, specchio di tutte le donne che hanno a che fare con la superficialità maschile, sia quando ha le vesti del marito sia quando ha quelle del padre. Ho preso spunti dalla mia vita professionale? Credo proprio di sì“ conferma la scrittrice.
In “Il filo”, 1995, la traccia erano dialoghi telefonici tra madre e figlia, nel “Rito d’iniziazione”, 1998, la vicenda psicologica coinvolge due amanti; in “Una tigre in giardino” il file rouge è costituito da Laura, dal suo dattiloscritto intrigante finito nelle mani del maresciallo che ne è preso fin nel profondo di sé, dalle tante Laura di cui è composta e nella quale si avvolge, si nasconde, dialoga e scappa dal mondo, in perenne conflitto con un marito che ama nonostante la faccia soffrire.
“Laura era il mistero, l’ambiguità, il dubbio, la malinconia”.
Un omicidio forse involontario, forse no, in una villa dalle parti di Stresa ha posto fine ai suoi tragici giorni, ma in fondo non è stato l’amante segreto, pur reo confesso nelle mani di Rubertà, il suo vero assassino…
(Una tigre in giardino, Camilla Moro, Edizioni Il Filo, Euro 12.00, 2005)
Pubblicato da Insubria Critica