Camilla Moro

Una Tigre in Giardino - II ED.

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Prima di tutto il grido. Acuto ma anche pastoso, echeggiante. Sprigionato dal ventre di una conchiglia. Sfuggito all'abisso. C'è chi giura di averlo sentito, a metà della notte...


Il diario di Camilla

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Crepuscolo
Edito da Gruppo Albatros Il Filo, Roma, 2010

Tre donne al crepuscolo, ciascuna di loro in attesa che qualcosa, come il giorno, muoia per poi rinascere. Costruire, ricordare, progettare. Le storie delle protagoniste si fondono l'una nell'altra, strette da legami forti come solo la vita e la morte sanno essere. E proprio quando la morte compare beffarda alla finestra, la stessa cui tutte e tre sono affacciate, capita che si ripensino, che trovino un motivo per andare avanti voltando una pagina troppo dolorosa. Di fronte hanno tre quadri diversi, immagini di una natura che riflette, limpide come il mare, le pieghe della loro anima.
E il tempo, alla fine, riprenderà a scorrere dopo essersi fermato per un attimo soltanto: all'apparenza statico e immobile, continuerà nel suo cammino inesorabile, portando con sé valigie di una vita, emozioni, dolori, gioie.
Jole, l'anziana, sorprenderà con una decisione inaspettata.
Virginia, in età matura, nel tempo che le resta farà di tutto per realizzare un sogno.
Matilde, giovanissima, continuerà a vivere come si vive a vent'anni, pensandosi eterni.
Con Crepuscolo Camilla Moro torna a raccontare le donne, a scriverle, a leggerle. Torna a farle parlare, come solo una donna sa fare. E le donne, quelle che nascono dalla sua penna, la assecondano, si abbandonano al suo talento, alla sua sensibilità, delicata e volitiva insieme. Perché "forte come la morte è l'amore" è scritto nel Cantico dei Cantici, e forte come la morte è l'amore che la Moro declina in ogni sua riga.



INCIPIT

Jole

Non posso crederci. Ho compiuto ottant'anni. Sono arrivata fin qui. Il destino è veramente bizzarro. È morto prima mio genero, poco più che cinquantenne. Proprio ieri sono stata a trovarlo in compagnia di un'amica. Non ci vado più da sola in quel cimitero da quando mi hanno rubato il portafogli. Me l'hanno sfilato dalla borsa mentre stavo alla fontanella a prendere l'acqua. Gli avevo portato i gladioli, povero ragazzo, e qualcuno, intanto, si è preso il mio portafogli. Ci deve essere un tipo, dice il custode, ci deve essere un tipo che si aggira fra le tombe e approfitta della distrazione delle signore anziane. Così si è espresso: "Delle signore anziane". Quando mi ha guardata negli occhi, l'ho provocato: «Sa che ieri ho compiuto ottant'anni?».
«Non si direbbe» ha risposto. E ha ribadito: «Complimenti, proprio non si direbbe».



QUALCHE PAGINA DEL LIBRO

Virginia

Da ormai due settimane siamo sull'Isola e si può dire che abbiamo sempre lavorato. La ristrutturazione ci sta impegnando più di quello che avremmo potuto immaginare. Dobbiamo adeguarci ai tempi degli artigiani, che consistono nel rimandare sempre, per principio, ad altra giornata. Le giornate, poi, a causa del caldo, sono più brevi. Iniziano col levare del sole ma terminano altrettanto presto.
A me piace questo modo di vivere. Mi sento un'allodola piuttosto che una civetta, amo svegliarmi il mattino nel silenzio, vedere l'arco del patio che incornicia il mare calmo, di un azzurro pallido che si confonde con il cielo ancora lattiginoso. Mi alzo e cammino per la casa azzurra e bianca come l'ho voluta e il mare attraverso le vetrate inonda il pavimento diffondendo il suo liquido blu tutt'intorno, sono nell'azzurro non so se di mare o di cielo, posso navigare nel colore.
Di solito verso le sette arrivano gli operai. Questa mattina, per esempio, Francesco ci aiuterà a sistemare il cancelletto del patio. L'abbiamo fatto riparare dal fabbro consegnandolo due mesi fa e ce l'ha riportato solo ieri, dopo lunga insistenza. Ogni preghiera di ultimare il lavoro va fatta recandosi sul posto, qui non si usa il telefono. Se non ti fai vedere, e non ti rendi anche un po' simpatica, non ti ascoltano proprio, ne hanno di "turisti" che pretendono di essere serviti velocemente! E accade proprio nei mesi estivi, quando si sa che gli isolani non lavorano, hanno altre occupazioni. Le donne il mattino vanno a capperi, gli uomini la sera a totani, se c'è bonaccia. E in questi giorni la bonaccia c'è, da quando siamo arrivati non spira alito di vento, il mare è un olio e il caldo va aumentando.
Adesso, ed è quasi sera, mi sono rifugiata nell'alcova insieme a Tea, la cagnetta, stiamo entrambe sdraiate sul letto a recuperare le forze, stremate. Lo scirocco ha portato la sabbia del deserto africano nel patio e in casa, ha coperto di polvere rosa pavimento e ducchene. Ma è inutile pulire, bisogna aspettare che passi.
Sulla parete, c'è un quadro: è una casa invasa dal vento, l'ha dipinta un' amica dopo un viaggio in Corsica. Ma potrebbe essere qui, anche questa è la casa del vento.
Ho cercato di riprendere il turchese del quadro nei cuscini di seta e nelle lampade tunisine. Nella stanza c'è anche uno specchio indiano dalla cornice di perline di un verde brillante che mi fa impazzire.
Amo i colori più di ogni cosa e qui sono puri, come la calce dei muri e l'antracite della lava.
La vita, sull'Isola, è essenziale. È questo che mi ha fatta innamorare.
Dammusi dalle linee nette, che si stagliano contro il cielo come sullo sfondo di un presepe, tramonti in cui la palla infuocata del sole si cala nel mare d'oro. E la luna, alta, e Venere, e tutte le stelle.
Ho desiderato più volte fotografare, per ricordare nell'inverno tanta bellezza. Ma è difficile, perché i colori vivono nel caldo nutriente dell'aria che sa di fuliggine, di cappero, di zibibbo, si agitano limpidi nel vento o sfumano nella calma piatta della bonaccia. Quando te ne vai, non li ritrovi più.

 

Matilde

È stato un Natale caotico e triste allo stesso tempo. Siamo andati come sempre dai nonni, la vigilia, dove era previsto il solito pranzo coi cugini, che si è più volte interrotto perché il nonno è stato male, subito dopo gli antipasti.
Non era voluto scendere, l'avrebbero trasportato in braccio giù per le scale i miei fratelli, ma non si è voluto muovere dalla camera, emozionato e tremante. È rimasto lì con Jenny, la nuova infermiera filippina, e a turno abbiamo deciso di salire con le portate. La Miki era appena partita con il piatto del salmone che la vedo precipitarsi giù per le scale e annunciare, con gli occhi spaventati: «Il nonno sta male!».
Tutti in piedi e di corsa di sopra, ma facciamo appena in tempo a intravvedere la faccia bianchissima del malato abbandonata sul poggiatesta della poltrona con gli occhi chiusi e la bava alla bocca, che ci respingono dicendo: «Così siamo in troppi, voi ragazzi tornate giù!».
Scendiamo ubbidienti, ma nessuno ha voglia di continuare a mangiare, neanche di parlare si ha voglia. Passa un quarto d'ora nel quale si sente solo il respiro affannato del Peo che lotta col suo cane bavoso sul tappeto, sotto le nostre gambe. Noi muti, in attesa.
Ad un certo punto, scende la Jenny portando non so che cosa in pattumiera. Di fronte alle nostre facce interrogative: «Signore meglio» dice, con la solita capacità di sintesi. Tiriamo un sospiro di sollievo.
Allora qualcuno comincia a dividere in porzioni le lasagne al radicchio ormai tiepide. Luca e Marta si servono e ricominciamo a mangiare.
Scendono anche la mamma e la zia col volto disteso:
«Il nonno ha superato la crisi» annunciano.
«Quell'uomo ha sette vite come i gatti!» aggiunge, sorridendo, la mamma.
Poi arrivano anche gli altri, per ultima la nonna, e si vede che ci sforziamo di tornare allegri e di non pensare che lui è attaccato a un filo. Almeno la nonna dice sempre così.
Lei è ancora malinconica, d'altronde da un mese va ripetendo di vedere tutto nero, «Chissà se passiamo il Natale, io non ho voglia di niente, fate la festa voi...».
Adesso dice:
«Se non c'era il Giovanni, se n'era già andato. Giovanni!» esclama «gli hai salvato ancora la vita. Ma come si fa a vivere così? È proprio un Natale brutto che più brutto non si può».
«Nonna, siamo solo alla vigilia!» protesta la Miki, sotto la frangia e dietro gli occhialini da professoressa, e aggiunge, con gli occhi che brillano:
«Natale è domani!».
«Vedi tu che sei giovane come ragioni? Tu hai la luce, davanti!» risponde la nonna. «Io, invece, vedo uno schermo nero».
«Su, adesso sta meglio...» prova a consolarla la mamma, mentre le serve le lasagne.
«Poche! Io non ho neanche fame!» si raccomanda la nonna, e aggiunge, con gli occhi lucidi: «Non so neanche cosa ci faccio qui».
«Mamma, c'è su la ragazza!» protesta la zia Polly con il suo vocione. «L'abbiamo assunta apposta, è diplomata infermiera, se c'è bisogno ci chiama!».
«Massì, la ragazza, la ragazza! Non capisci che non sono tranquilla lo stesso? Se succede qualcosa? Cosa diranno, che l'ho lasciato solo per festeggiare il Natale?».
La nonna si preoccupa sempre di quello che potrebbe dire la gente, come se vivesse su un palcoscenico, e tutto il paese fosse lì ad applaudire o a fischiare lei che vive la sua vita. La mamma dice che è sempre stata così. Lei per esempio, racconta, è stata messa in vetrina da subito, in carrozzina, povera mamma, bionda e agghindata come una bambola da esposizione.
Intanto la Miki continua a spiare lo schermo del cellulare, forse in attesa di misteriosi messaggi. Allora il papà, grande osservatore, approfitta per inviargliene uno con l'idea di fingersi un ammiratore, ma clicca per sbaglio in rubrica sullo zio Giovanni, che, e questo è stato troppo divertente, ricevuto il messaggio di auguri, si rivolge con gli occhi strani al papà:
«Addirittura messaggi di auguri con il telefono! Che uomo garbato!».
Il papà ammicca. Ma salvo me, che ho seguito tutto il siparietto, nessuno ci ha capito niente.
Intanto la zia Polly ha ripreso a sovrastare tutti con la sua voce da baritono e sta raccontando dello stage di danza a cui è diretta, per Capodanno, con il suo Giangi, se non sbaglio dalle parti di Rimini. Il progetto è di perfezionare il merengue e la salsa per due o tre giorni con un istruttore e duecentocinquanta altri allievi fino al clou della notte fatidica in cui le danze, dopo il cenone, continueranno senza soluzione di continuità fino al mattino.
«Se non ti vergogni...» borbotta a mezza voce lo zio Giovanni.
«Vergognarmi? E perché?» domanda stupita lei, e aggiunge, a confermare una preparazione seria: «Guarda che noi balliamo tutto l'anno...».
«No, dicevo, a Rimini... Già mi vedo il tipo di pubblico, col trenino finale e tutto il resto!».
«Embè?» ribadisce lei. «Esilarante, no? Cosa c'è di male?».
«No, niente, niente!» conclude lo zio con un sorrisetto. E si gira verso la zia Laura sussurrandole qualcosa nell'orecchio.



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